La scala della cornamusa scozzese

07.04.2023

Prima di iniziare, permettetemi una premessa: questo è un articolo piuttosto lungo e complesso, anche se cercherò di renderlo il più semplice e comprensibile possibile evitando ogni eccesso di nozioni non strettamente necessarie e un linguaggio troppo tecnico, per cui regolatevi riguardo al continuarne o meno la lettura.

Per poter parlare con cognizione di causa della scala della cornamusa scozzese dobbiamo anzitutto comprendere cos'è una scala musicale. La spiegazione semplice è che la scala è una successione ascendente o discendente di note vicine tra loro, collegate in un modo che il nostro orecchio percepisce naturalmente come logico.

La spiegazione completa invece è un po' più complessa. Anzitutto dovete sapere che tra due note vicine non c'è sempre la stessa distanza, in termini di altezza del suono: possono infatti essere a distanza di un TONO oppure di un SEMITONO, dove quest'ultimo equivale alla metà del primo, per cui ne consegue che un tono è formato da due semitoni.

Per capire meglio di cosa stiamo parlando, osserviamo un attimo la tastiera del pianoforte:

Come potete notare, la tastiera è composta da un insieme di tasti bianchi e di tasti neri. I tasti bianchi rappresentano le cosiddette NOTE NATURALI, sprovviste di alterazioni, mentre i tasti neri sono le NOTE ALTERATE, quindi quelle note caratterizzate dalla presenza di un DIESIS (il simbolo #, che in musica non è il classico cancelletto…) oppure di un BEMOLLE, ovvero il simbolo b. La funzione di queste due alterazioni è la seguente:

  • Il diesis alza la nota di un semitono, per cui per esempio un DO# risulta essere più alto di un semitono rispetto a un DO naturale
  • Il bemolle abbassa la nota di un semitono, quindi un REb è più basso di un semitono rispetto al RE naturale

Guardando la tastiera qui sopra, noterete allora che DO# e REb corrispondono alla stessa nota, anche se per scrupolosità va detto che questo accade solamente con gli strumenti cosiddetti TEMPERATI, categoria a cui appartiene il pianoforte e di cui parleremo in un prossimo articolo. Sempre per amor di accuratezza dobbiamo dire anche che bemolli e diesis non sono le uniche alterazioni esistenti in musica; però dal momento che le altre, in questo contesto, non ci servono minimamente, possiamo tranquillamente ignorarle.

Tornando alla nostra tastiera, possiamo dire a questo punto che tasti bianchi e tasti neri sono disposti a distanza di semitono tra loro. Come potete notare, però, alcuni tasti bianchi non hanno nessun tasto nero in mezzo a loro: questo accade perché, come detto in precedenza, tra due note naturali vicine non c'è sempre la stessa distanza. Tra DO e RE, RE e MI, FA e SOL, SOL e LA, LA e SI c'è infatti un tono, mentre tra MI e FA e tra SI e DO c'è un semitono. Da questo deriva l'assenza del tasto nero tra queste ultime due coppie di note.

Nella MUSICA TONALE occidentale ci sono due scale, composte esclusivamente da note naturali, la cui successione di toni e semitoni è presa a modello per costruire tutte le altre scale. Si tratta della scala di DO per le TONALITÀ MAGGIORI e della scala di LA per le TONALITÀ MINORI. Queste due scale, proprio per la loro importante funzione, vengono chiamate SCALE MODELLO. Vediamole insieme:

Qualunque altra scala maggiore, costruita quindi a partire da qualsiasi nota, dovrà avere la stessa successione di toni e semitoni della scala di DO maggiore; stesso discorso per le scale minori in relazione alla scala di LA minore. Per capire di cosa stiamo parlando, proviamo a costruire una scala partendo dalla nota RE e usando solo note naturali:

Se la nostra intenzione è di costruire una scala maggiore, è evidente come in questo caso la successione di toni e semitoni è ben diversa rispetto a quella della scala modello di DO. Per mettere le cose a posto dobbiamo agire in questo modo

alterando quindi la seconda delle due note tra le quali si presenta il problema. Se alterassimo infatti la prima nota andremmo a creare uno scompenso anche con la nota precedente. Per intenderci, dal momento che nella scala precedente il primo problema è dato dal semitono tra MI e FA dove dovrebbe esserci un tono, se per risolvere il problema anziché alzare il FA grazie al diesis avessimo abbassato il MI con un bemolle, avremmo alterato anche l'intervallo tra RE e MI, che sarebbe diventato di un semitono.

Vediamo un'altra scala, stavolta di FA maggiore:

Come potete notare, per sistemare il problema dato dalla presenza di un tono tra LA e SI dove ci serve invece un semitono, abbiamo dovuto abbassare il SI grazie al bemolle. Questi due esempi, la scala di RE e la scala di FA, ci forniscono l'occasione per enunciare una regola ben precisa: nella stessa scala non possono trovarsi contemporaneamente sia diesis che bemolli. O ci sono i primi oppure i secondi, ma insieme, mai! In ogni caso, è importante sapere che la successione di toni e semitoni della scala di DO maggiore può essere replicata a partire da qualunque nota, sia naturale che alterata. Lo stesso discorso vale anche per le scale minori, solo che in quel caso serve naturalmente cambiare il modello di scala passando a quella di LA.

Ok, chiarito questo possiamo parlare delle TONALITÀ e quindi del sistema tonale. Da definizione enciclopedica, la tonalità è un sistema di princìpi armonico-melodici che danno ordine alle note della scala, organizzandole in una gerarchia basata sulle relazioni, le tensioni e gli equilibri che si creano tra di esse. Non per nulla i vari GRADI DELLA SCALA, cioè le singole note, nel sistema tonale acquisiscono nomi che ne evidenziano queste caratteristiche.

TONICA: è il primo grado, quello che dà il nome alla scala e che costituisce la sua nota più importante. Non per nulla il primo grado viene definito anche FONDAMENTALE.

SOPRATONICA: è il secondo grado, che, come si può intuire dal fatto che prende il nome dal primo grado, non è dotato di una funzione particolarmente rilevante.

MEDIANTE, CARATTERISTICA o MODALE: il terzo grado, nota che ci consente di capire a un primo sguardo, nonché a un primo ascolto della scala, se abbiamo a che fare con una scala maggiore oppure con una minore.

SOTTODOMINANTE: il quarto grado, che, come il secondo, non ha particolare importanza nei giochi di equilibrio tra le note.

DOMINANTE: il quinto grado, sicuramente il più importante dopo la tonica per la sua tendenza a comparire ripetutamente all'interno di una melodia, facendo al contempo ruotare le altre note intorno ad esso.

SOPRADOMINANTE: il sesto grado, anch'esso nota di passaggio come il secondo e il quarto

SENSIBILE: il settimo grado, chiamato così per la sua tendenza a risolvere sulla tonica, cioè ad essere seguito da essa, sebbene questo non valga come regola assoluta, nel senso che la sensibile non è tenuta ad essere sempre e comunque seguita dalla tonica, perché entrano in gioco molti altri fattori di carattere ritmico-armonico. Notate bene: la sensibile si chiama così solamente quando è a distanza di un semitono dalla tonica. Nel caso di scale in cui il settimo grado si trova invece a distanza di un tono da essa prende il nome di SOTTOTONICA.

Naturalmente la questione è un bel po' più complessa di così, però per semplificare il concetto possiamo dire che se un brano è in una determinata tonalità vuol dire che ne usa la relativa scala, all'interno della quale ogni nota è dotata di maggiore o minore importanza sia a livello melodico che armonico, in base alla posizione che ricopre nella gerarchia tonale. In pratica, se sentite dire che un brano è in RE maggiore vuol dire che la scala di base è proprio questa, però attenzione: sia nella musica cosiddetta "colta" che in quella di derivazione popolare è molto raro che un brano inizi, continui e finisca sempre nella stessa tonalità. Attraverso un procedimento chiamato MODULAZIONE è infatti possibile cambiare anche più volte la tonalità all'interno del brano. Questo però accade molto raramente nella musica per cornamusa scozzese, sicuramente per via di alcuni limiti dettati dalle caratteristiche dello strumento ma anche per il tipo di brani che si possono suonare con la cornamusa, poco adatti alla modulazione.

Provo a spiegarmi meglio: se contate le note della tastiera del pianoforte della prima immagine, potrete notare che le note da DO a SI sono dodici, sette naturali (tasti bianchi) e cinque alterate (tasti neri). Questo perché il pianoforte, come del resto la stragrande maggioranza degli strumenti musicali, è uno strumento CROMATICO, cioè in grado di eseguire tutte e dodici le note previste dal nostro sistema musicale. Se dovessimo suonare tutti i tasti in successione otterremmo una scala appunto CROMATICA, cioè una scala che si muove per semitoni. La cornamusa scozzese, invece, è uno strumento DIATONICO, che non può quindi eseguire tutte e dodici le note ma può fare solamente una scala che si muove per toni e semitoni, simile alle scale maggiori e minori che abbiamo visto finora. Questa sua caratteristica limita enormemente la possibilità di suonare in tutte le tonalità esistenti, che per la cronaca all'atto pratico sono ventiquattro, dodici maggiori e dodici minori. Dico "all'atto pratico" perché a livello teorico ne esistono di più, sia per via delle tonalità cosiddette OMOFONE (o OMOLOGHE) che anche se vengono scritte in modo diverso di fatto utilizzano gli stessi suoni (come DO# e REb, per intenderci), sia perché esistono tonalità teoriche che per la scomodità della loro esecuzione non vengono mai utilizzate nella pratica.

Attenzione però: sebbene il sistema musicale occidentale faccia larghissimo uso delle scale maggiori e minori, con le relative tonalità, la nostra cornamusa non suona una scala tonale bensì una SCALA MODALE. Ora, senza voler approfondire troppo l'argomento, per il quale servirebbe un trattato storico-teorico ben più elaborato di un semplice articolo su un blog, possiamo dire che le due scale tonali (maggiore e minore) sono il risultato di un lungo processo storico che ha portato alla loro selezione grazie alle loro caratteristiche, che le rendono adatte alla MUSICA POLIFONICA e all'accompagnamento armonico. Per intenderci, la musica polifonica è tutta quella musica che prevede più linee melodiche suonate contemporaneamente, in contrapposizione alla MUSICA MONODICA, che ne prevede invece soltanto una.

La musica antica, così come accade ancora oggi con buona parte dei sistemi musicali di altre culture, era assolutamente monodica; il che, lungi dal rappresentare solamente un limite espressivo (anche se in parte è sicuramente così), consentiva l'uso di molte altre scale, chiamate SCALE MODALI. Di fatto, con il sistema modale era possibile costruire scale modello partendo da qualunque nota naturale. Va da sé che, con sette note naturali, anche il numero delle scale modello modali equivale a sette. Vediamole insieme:

Arrivati a questo punto innanzitutto vi invito a notare come le scale tonali attuali di fatto non siano altro che la scala ionica (per le scale maggiori) e la scala eolia (per le scale minori) sopravvissute alla, diciamo, "riforma polifonica". Semplicemente, il loro impiego nella musica tonale è diverso rispetto a quello nella musica modale, ma le scale rimangono le stesse.

Un'altra considerazione che possiamo fare è che, per lo scopo che interessa a noi, possiamo tranquillamente ignorare tutte le altre scale per concentrarci sulla SCALA MISOLIDIA, che, rivelazione delle rivelazioni, è esattamente quella del nostro amato strumento! Vi assicuro che anche concentrandoci solo su questa scala la situazione è già abbastanza complicata, perché i nostri amici scozzesi hanno deciso di incasinare ulteriormente una situazione già abbastanza complessa di suo. 

Infatti, dovete sapere che la nostra cara cornamusa legge sì la scala di LA MISOLODIO, però suona quella di SIb, sempre MISOLIDIO. Il motivo è presto spiegato: sembra che in passato lo strumento fosse accordato sulla scala di LA misolidio, però col passare del tempo, con un procedimento che è ancora ampiamente in corso, si è deciso di alzare sempre di più l'intonazione dello strumento fino ad arrivare all'attuale SIb, per giunta anche parecchio crescente rispetto agli standard occidentali (ma di questo parlerò prossimamente). Per evitare tutta una serie di problemi legati alla riscrittura dei brani nella nuova modalità si è deciso di mantenere la grafia vecchia, essendo stata valutata questa soluzione probabilmente come il male minore.

Vediamo di capire allora cosa prevedono sia la scala di LA che quella di SIb misolidio. 

Un appunto per chi conosce già bene il sistema tonale: se ci fate caso, nelle scale composte solo da note naturali la scala misolidia viene costruita partendo dal SOL, cioè la quinta nota a partire dal DO che dà inizio alla serie di scale. Per trovare la scala di LA misolidio ecco allora che dobbiamo partire dal RE, quindi cinque note sotto; e infatti la scala di LA misolidio ha esattamente le stesse alterazioni della scala di RE maggiore che abbiamo visto in precedenza, cioè FA# e DO#. La stessa cosa vale per la scala di SIb misolidio che prevede le stesse alterazioni della scala di MIb maggiore, essendo il Mib appunto cinque note sotto il SIb.

Spendiamo ora due parole a proposito della cosiddetta ARMATURA DI CHIAVE, cioè di quella serie di alterazioni poste sul pentagramma subito dopo la chiave. Di suo l'armatura di chiave indica che tutte le note segnate come alterate in chiave sono da considerarsi alterate per la durata dell'intero brano, salvo naturalmente ulteriori indicazioni. La cosa permette anche di capire in che tonalità si sta suonando. Se per esempio trovassimo un'armatura di chiave simile

quindi con indicati FA# e DO#, stando a quanto già sappiamo sulle scale e le tonalità capiremmo immediatamente che stiamo suonando in RE maggiore oppure in SI minore, che ha le stesse alterazioni di RE maggiore. Ma questo è un altro discorso, troppo lungo per essere affrontato qui. Nel caso vi interessi approfondire cercate online "tonalità relative". Naturalmente, nel caso avessimo a che fare con musica modale quest'armatura di chiave potrebbe indicarci anche un LA misolidio. E infatti negli spartiti per cornamusa scozzese abbastanza frequentemente troviamo in chiave proprio queste due alterazioni. Attenzione però, non succede sempre: spesso nei nostri spartiti non viene messo in chiave proprio nulla, dando per scontato che quelle due note alterate sono le uniche che può fare la cornamusa, e che tra l'altro non richiedono un'attenzione particolare da parte dell'esecutore perché si tratta di note già naturalmente nella scala dello strumento. 

Ecco allora che spesso nei nostri spartiti trovate quest'armatura di chiave, priva di alterazioni come se dovessimo suonare in DO maggiore o in LA minore:

Ora, direte voi: tutto bello, però finora tu hai scritto i nomi delle note usando la loro denominazione SILLABICA, detta anche LATINA perché diffusa nei paesi di lingua neolatina. Però per noi che già suoniamo lo strumento e siamo abituati alla denominazione ANGLOSASSONE risulta un po' difficile capire in pratica di che note dello strumento stiamo parlando.

Giusto, dico io! Prima di tutto vi dirò che ho scelto di usare la denominazione latina perché così l'articolo risulta essere più comprensibile a tutti, anche a chi non conosce la denominazione anglosassone. In effetti un po' do per scontato che in Italia conosciamo più o meno tutti i nomi delle note col sistema latino. Personalmente abituo i miei allievi di cornamusa a leggere le note col sistema latino, per facilitare il solfeggio, ma a conoscere anche le stesse note col sistema anglosassone. Dopotutto, parafrasando quanto si dice un po' scherzando riguardo la difficoltà tecnica dello strumento, la cornamusa scozzese ha solo nove note: quanto mai potrà essere difficile imparare a chiamarle con due nomi diversi?

Per chiarezza, il sistema sillabico è molto più indicato per il solfeggio perché le sillabe si prestano a una lettura ritmica, cosa che non succede col sistema alfabetico ancora in uso nei paesi anglosassoni. Del resto, senza voler fare il pistolotto storico sull'argomento, il sistema latino è nato proprio per questo scopo, e se in molti paesi ha soppiantato il sistema alfabetico, di origine decisamente più antica, un motivo c'è! Se vi interessa comprendere pienamente il perché vi invito a cercare in rete la storia della notazione musicale, soprattutto in riferimento all'opera di Guido d'Arezzo. 

In ogni caso, per non lasciare nulla di incompiuto, termino l'articolo con una tabella che racchiude sia la scala scritta che quella effettivamente suonata dallo strumento (SCALA D'EFFETTO) con la doppia denominazione. Per chi non lo sapesse, ricordo che il sistema alfabetico parte dal LA, che corrisponde alla lettera A, per arrivare in scala ascendente fino al SOL, che corrisponde invece alla lettera G. 

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